Una vita all'insegna del Cous Cous

Perché un blog sul Cous Cous? Perché non c'era, mentre sempre più persone sono interessate a ricette e consigli su come prepararlo, presentarlo, offrirlo. Perché me lo ha proposto la mia amica Monica ed io mi sono subito incuriosita. Perché scrivere, confrontarsi, catalogare le ricette servirà anche a me a tenere ordinate le idee. Perché sì.
La mia vita é all'insegna del cous cous nel senso che sono stata svezzata con cous cous e brodo, che il profumo del cous cous in pentola é stato l'odore predominante della mia infanzia, é stato l'odore che più dolcemente e decisamente si insinuava nelle nostre stanze, tra le lenzuola, nel pigiama, tra i capelli la mattina presto e ci svegliava. Alle otto del mattino di venerdì avevo già mangiato due aburach (polpette fatte solo con il cous cous caldo a metà cottura). Tornavo da scuola il venerdì con il desiderio di mangiare di nuovo cous cous, pranzo e cena. Il sabato a pranzo avrei continuato, ma spesso era già finito. "Mamma, ma perché non ne hai fatto di più?" "Ne ho fatto di più, ma poi é passato Guido, sai l'elettricista che doveva aggiustare le luci nel salone e ne ha mangiato un piatto, un altro piatto l'ho lasciato per gli studenti qui di fronte, sai poverini, stanno lontani da casa..." "Vabbé ma, ma la prossima settimana, fanne ancora di più, ok?"
Ma poi era sempre la stessa storia: passava qualcuno "casualmente" da lì il venerdì e ne mangiava un piatto o se proprio non poteva mangiarselo lì per lì se lo portava a casa. "Mamma ma perché lo vai a dare in giro se sai che a noi ci piace così tanto?" "Malesh azzi, berachà!" (Fa niente amore é tutta benedizione!). La vera benedizione era avere il privilegio di non andare a scuola il venerdì mattina (i miei ex professori cominceranno a capire un po' di casualità) e mangiarsi il cous cous caldo alle nove del mattino. Primo piatto: liscio, solo cous cous appena sgranato bollente. Secondo piatto: come il primo con tscirsci (verdure piccanti e speziate). Ah, questa sì una grande benedizione!
Poi, insieme al cordone ombelicale ho tagliato anche i ponti col cous cous, sono andata a vivere da sola prima nel campus dell'Università Ebraica, a Gerusalemme e poi in un appartamento sul mare Tel Aviv. A vent'anni, all'università, le discrimanti per scegliere cosa e dove mangiare sono in ordine il prezzo e il tempo. Due elementi nemici della buona cucina. Quando avevo voglia di risentire quel profumo intenso di cous cous andavo da qualche parente libico a "scroccare", come l'elettricista e gli studenti fuori sede facevano con noi a Roma e che rabbia quando venivo accolta da pasta scotta condita con il pomodoro concentrato "in mio onore" perché venivo dall'Italia!
Ritornata in Italia mi sono sposata, ho fatto tre figli e ho fatto i lavori più diversi.
Intorno ai 35 anni, mentre facevo l'impiegata frustrata per un agenzia di traduzioni e organizzazioni di Congressi e mi barcamenavo, come tutte le donne con figli, tra lavoro, ufficio, amici e famiglia mi é venuta non un'idea, quasi un istinto...E se tornassi al cous cous?
Avevo già avuto modo di constatare come la cucina libica piacesse agli amici quando organizzavo cene e compleanni, in più nel frattempo gli italiani erano diventati viaggiatori reali e ideali, persone che tornavano da Terre lontane con in valigia curiosità e aperture ancora inamagginabili negli anni ottanta. Sì, forse il cous cous che mi aveva salvato dalla routine scolastica tante volte, mi avrebbe salvata dal lavoro in ufficio, di fronte al computer, chiusa tra quattro mura a fare sempre le stesse cose.
Cucinare mi era sempre piaciuto e curiosare in cucina pure, ma quando si ha famiglia bisogna pensarci molto bene prima di lasciare un contratto a tempo indeterminato e così ho cominciato un po' alla volta: una serata qui, cuoca a domicilio lì, una collaborazione da un'altra parte e ora...vivo di cous cous. Ma questa é già un'altra storia